sabato 4 marzo 2017

TEMI E RICERCHE DEL DOTTORATO IN ARCHITETTURA – TEORIE E PROGETTO 1986-2017
MARTINA FIORENTINI

INTRODUZIONE

La storia dell’architettura non è solo la storia del rapporto tra individuo abitazione ed ambiente ma è anche la storia di come il progettista, elemento di congiunzione e di soluzione dei problemi complessi, da sempre presenti nella storia, o contingenti alle diverse fasi ed ai diversi contesti, abbia potuto progressivamente avvantaggiarsi di supporti tecnologici migliorati, consentendo la gestione di un numero via via crescente di variabili, in un tempo sempre più ridotto, e con un grado di accuratezza e previsione/anticipazione delle dinamiche da generare via via crescente. Tuttavia, l’aumentato potere di controllo è stato affiancato da istanze più complesse manifestate dalla società, legate all’evolversi della struttura economica, tecnologica, culturale della società stessa.
Le sfide di oggi sono caratterizzate da un grado di difficoltà elevato, nuovo e differente dal passato, e sono legate al rischio che, globalmente, l’incidenza dell’attività antropica provochi la definitiva rottura dell’equilibrio con la natura che ci circonda.
Il progettista, figura centrale nella costruzione di modelli futuri per la società, alla luce del ruolo nella formazione delle dinamiche dei processi sociali e produttivi, allarga il campo di azione e comprende la necessità di integrare la propria conoscenza attingendo ad altre discipline: si fa strada l’abbandono della iperspecializzazione a beneficio della interdisciplinarietà.
Al centro del nuovo modo di fare architettura si pone un progettista multidisciplinare guidato dal tema dell’ecologia, non più come scelta libera, libero arbitrio della volontà del prevalere di una determinata forma estetica in favore di un’altra, ma come necessità, come istanza che la società pone e che individua quale unico fattore di necessaria correzione per scongiurare i rischi innescati dalla attuale rotta di collisione, affidando ancora una volta all’architettura il compito di individuare soluzioni che tengano insieme diversi elementi.
Diventa pertanto di fondamentale attualità definire e costruire o riqualificare lo spazio dentro crismi ecologici; sviluppare un ciclo naturale di continua evoluzione adattiva del progetto, una “cellula metabolica” integrata e collaborante, costituita dagli abitanti che, partendo dal senso di appartenenza dato dal legame con il territorio, forniscano un punto di vista costruttivo e collaborativo, basato sulla condivisione di valori all’interno di uno spazio che torna ad essere dimensione emotiva di cooperazione e tutela dell’io e della comunità.
Per consentire il dispiegarsi di una materia che torna sempre a confrontarsi con il reale nella sua immediata e netta verifica delle intenzioni progettuali, si indaga l’apporto del BIM quale strumento ottimale allo stato dell’arte per il controllo tecnico-prestazionale degli interventi di riqualificazione o nuova progettazione, che consenta di verificare a priori i tratti essenziali della capacità di funzionare degli intenti secondo i requisiti di qualità attesi.
Beneficiaria ultima non è solo la progettazione di un edificio o di uno spazio ma la società che, muovendo dalla riscoperta di valori desueti ed accantonati incentrati su prossimità e valore d’uso, chiede all’architettura di individuare soluzioni immediate, consistenti e cariche di valore emotivo.

USO RIUSO ABUSO. CASI DI DISOBBEDIENZA ESTETICA. Ecologia del progetto e libertà
DANIELA MAURIZI

L’elaborato analizza il modo in cui il concetto di cultura ecologica ha influenzato direttamente o indirettamente le scelte architettoniche e progettuali. Parola chiave è “valore d’uso” individuato come la variabile in grado di conferire valore aggiunto all’esigenza dell’abitare in un’ottica sostenibile.
Valore d’uso a sua volta da analizzare nell’ambito dei termini uso (come utilizzo “giusto” in quanto ritenuto in linea con le intenzioni combinate del progettista e dell’utente), riuso (nel termine ecologico di valorizzazione del riutilizzo), abuso (inteso come il superamento dal basso dell’imposizione di un ordine formale, vincolante ed esterno attraverso la riappropriazione di uno spazio esistenziale di minor impatto ambientale).
L’elaborato mette in luce le criticità riscontrabili nella ricerca di una corretta integrazione tra progetto e vita quotidiana che sappia tenere al centro le esigenze dell’utente coniugandole sia con il rispetto di adeguate variabili di carattere etico, estetico ed ecologico, sia con i limiti imposti dalle “orme” (intese dall’autrice come retroterra storico) e dallo stato della evoluzione tecnologica.
L’affermarsi del paradigma ecologico, viene visto dall’autrice all’interno di un più ampio movimento di cambiamento dato da un nuovo vitalismo che attraversa ogni attività progettante, spingendo l’architettura ad uscire dall’astrattezza razionale, per tornare ad una concretezza funzionale e propedeutica alla realizzazione dell’individuo all’interno dello spazio.
Il nuovo funzionalismo trova la sua ragion d’essere nella ricerca della miglior sintesi tra uomo, ambiente e società tesi solidalmente ad un nuovo modo di vivere la sfida adattiva all’ambiente in una prospettiva co-evolutiva.
Il progettista pertanto non impone una visione personale ma assorbe l’espressione creativa e culturale della collettività, riportando il valore d’uso al centro della relazione tra uomo, habitat e ambiente costruendo un legame che sappia tener conto della spinta ecologista derivante dalle sfide associate al sempre maggior impatto antropico sulla realtà.
Diventa allora fondamentale volgere lo sguardo alle nuove tecnologie, non solo in senso materico (materiali costruttivi all’avanguardia in grado di minimizzare l’impatto ambientale), ma anche in senso organizzativo (tecnologie informatiche a maggior potenza di calcolo come collettori di informazione in grado di massimizzare l’efficienza delle modalità d’uso dello spazio), direzione già assunta da sporadiche realtà marginali auto-organizzate, che tornano al modello della comunità supportate da nuove piattaforme tecnologiche.
Creatività ecologica eticamente ed esteticamente funzionale alla migliore integrazione tra necessità ed inventiva che sappia giovarsi della dimensione relazionale, comunitaria, evolutiva, della funzione d’uso, senza mai tralasciare il concetto di provvisorietà proprio della temporalità della natura umana e della continua rimodulazione fondata sull’evolvere delle coscienze e quindi delle esigenze.
Solo con un ascolto “attivo”, con la contestualizzazione delle conoscenze, delle idee e delle interpretazioni il progetto architettonico diventa terreno di composizione e superamento del conflitto tra ordine e disordine, libertà e necessità, obbedienza e disobbedienza, riportando l’architettura alla condizione di realtà che le è propria in quanto scienza del reale in grado di diventare “reale ecologica”.
Ecco che l’ampiezza strategica di assorbimento degli stimoli esterni deve responsabilmente, criticamente/autocriticamente, creativamente valorizzare la dialettica che viene a generarsi e che porta a più sintesi nel solco dei concetti di mutamento/flessibilità, permanenza/continuità, nel rispetto dei tre elementi chiave che in apertura sono individuati come sottendenti il concetto di valore d’uso: uso, riuso ed abuso in prospettiva ecologica. 

LA NECESSITA’ DI UN APPROCCIO SISTEMICO PER IL PROGETTO URBANO E DI ARCHITETTURA. Contesto teorico, esempi virtuosi e strumenti cognitivi
ROSETTA ANGELINI

Le scoperte che dagli anni ’20 hanno investito i vari ambiti del sapere scientifico e filosofico hanno obbligato gli studiosi ad abbandonare una visione settoriale a favore di un’analisi globale dei processi tra le parti e delle micro e macro relazioni che regolano l’universo, attraverso valutazioni etiche che trovano fondamento nell’ecologia.
L’approccio architettonico che ne scaturisce origina il progetto urbano come riproduzione dei fenomeni regolatori grazie a criteri multidisciplinari di cui l’ecologia è il fulcro: la visione contemporanea di più discipline garantisce la continuità delle relazioni tra gli elementi urbani, che collaborano alla formazione di un unico ciclo, equiparabile a quello naturale.
La struttura urbana può essere letta come una “cellula metabolica” integrata e collaborante al raggiungimento di un equilibrio globale.
Ne scaturisce una società sostenibile alla base della quale la condivisione di valori porta lo spazio ad una dimensione emotiva, di cooperazione, di conoscenze condivise e tutela di risorse e servizi. Le relazioni sociali sono promosse dalla creazione di soluzioni ambientali catalizzatrici, il progetto di corti e coperture degli edifici, giardini e percorsi pedonali si intreccia con quello dei parchi, delle infrastrutture per creare a scale diverse spazi di aggregazione e mediazione: gli edifici non sono separati dall’esterno, ma dialogano con l’ambiente attraverso filtri penetrabili ed osmotici, creando una rete di interconnesioni in cui ogni elemento dipende e discende dalla proprietà dell’altro, secondo una visione sistemica.
L’autrice analizza due casi studio dell’approccio sistemico al progetto, il quartiere di Hammarby Jöstad e il lavoro di Friedensreich Hundertwasser, per sottolineare che il processo, basandosi sui cicli naturali, debba valutare le continue interazioni e i cambiamenti insiti in un equilibrio dinamico.
La rigenerazione di aree dismesse in tessuti consolidati rappresenta l’opportunità di operare secondo tale visione, anche grazie al coinvolgimento degli abitanti che si estrinseca nella personalizzazione degli spazi condivisi al fine di creare sia una relazione con l’esterno che il senso di appartenenza garantito dal riconoscimento di sé nello spazio in cui si è operato.
Diventa fondamentale per un progetto sistemico la determinazione di uno strumento conoscitivo e multidisciplinare, individuato dall’autrice nel modello dinamico-ciclico, in grado di coordinarsi autonomamente in base alle infinite variabili ambientali e parametriche del progetto: la materia architettonica, infatti, si pone in continua relazione e cooperazione con altri ambiti disciplinari col fine di una pianificazione ecologica. La complessità delle interdipendenze dei processi, dalla scala globale a quella locale, può essere organizzata attraverso il BIM, strumento in grado di simulare in tempo reale e di esaminare le conseguenze delle modifiche progettuali. La combinazione sostenibile ottimale può essere ottenuta grazie a prefigurazioni elettroniche che simulano digitalmente il sistema fluido e ciclico delle variabili progettuali e riescono a trovare la condizione ottimale per cui, alla minore quantità di materiale, corrisponde la massima efficienza ambientale, strutturale, spaziale e organizzativa. Gli edifici che vanno a costituirsi si configurano come organismi energicamente autonomi ed inseriti all’interno di una strategia ambientale.

COMMENTO DELL’AUTRICE DANIELA MAURIZI

Colgo con grande piacere questa occasione di revisione critica della mia ricerca a distanza di più di dieci anni, sotto la spinta di nuove istanze, che poi forse tanto nuove non sono.
Dunque, il commento di Martina riassume bene il focus della mia tesi, ma forse, coerentemente al suo specifico campo d'interesse, pone un po' troppo l'accento sulle opportunità offerte dalla tecnologia. La strategia progettuale che a quel tempo tentavo di definire, era fondata soprattutto sulla risorsa uomo e sulla sua capacità di risolvere creativamente i problemi anche, e soprattutto, in assenza di mezzi e supporti tecnologici.
Ma affinché l'uomo - in alternativa al sistema - possa recuperare tale potere di pianificazione e azione, è necessario (e oggi lo affermo con più convinzione di ieri) un cambiamento dell'organizzazione territoriale e politica in direzione di un maggiore decentramento, atto a favorire forme di progettazione più cooperative e controllabili dal basso, nonché di produzione e organizzazione locale di beni, servizi, e competenze. In tale prospettiva, s'innesta anche l'attuale crisi del progetto a grande scala.
Questa visione cala il progetto architettonico in un contesto di sobrietà, fattibilità e realismo, dove il troppo sottovalutato “buon senso”, che qui si intreccia all'idea di bene comune, illumina la strada da seguire. Questo credo, sia l'approccio ecologico più autentico.
Ma oggi, quali abitanti di una realtà complessa e conflittuale, supportata da tecnologie avanzate, abbiamo perso l'autonomia produttiva, insieme all'antica arte del buon vivere e del buon costruire, e abbiamo bisogno di paradigmi precisi in cui inquadrare non solo il progetto architettonico, ma l'intera esistenza, con le sue problematiche e strategie. Tali modelli di riferimento si traducono in tessuti normativi incentrati sulla sostenibilità ambientale del progetto, considerata quasi come obiettivo primario anziché principio guida.
Troppo spesso infatti, l'assunzione di paradigmi che diventano miti, come quello ecologico, tende a confondere le cause con gli effetti, le motivazioni e i principi con gli obiettivi, aprendo il varco a derive riduzioniste e facili strumentalizzazioni politiche o di mercato.
Se invece si riparte dal presupposto che ad essere ecologica è la vita stessa, nella sua rete di infinite connessioni creative, il progettare, in quanto atto creativo, diventa di per sé un atto ecologico e responsabile, almeno potenzialmente.
La differenza, a mio avviso, è nella scala d'intervento, laddove un progetto alla piccola scala tende ad essere più ecologico e meno impattante del mega progetto, nel quale le stesse tecnologie di compensazione e mitigazione ambientale hanno un costo ecologico inevitabile.
Nel corso degli anni mi sono ricreduta su diverse questioni, a partire dal “vocabolario” ecologico. Un esempio ne è la definizione di “impatto antropico”, che a mio avviso sposta il problema, spingendo le soluzioni verso sinistre derive complottiste e baratri esistenziali.
Il problema infatti non è l'impatto antropico - l'uomo è nato per impattare positivamente il suo ambiente e governarlo - ma l'impatto di una tecnologia a servizio degli interessi del mercato. Ho accennato a sinistre derive, in riferimento al pensiero sotterraneo che attraversa i programmi ufficiali a favore dell'ambiente, a partire dall'Agenda 2000, che dietro ai principi emergenziali della scarsità di risorse e della sovrappopolazione nascondono e preparano, a mio avviso, un piano di controllo sociale, politico, economico in scala mondiale (punta dell'iceberg della concentrazione/centralizzazione del potere). E in questa stessa chiave di lettura, nel motto dello UNFCCC “cancella la tua impronta ecologica”, si potrebbe ravvisare l'eco di un piano ben più inquietante, volto a cancellare la presenza stessa dell'uomo sulla terra. Ma questa è un'altra storia...
Oggi, l'antico conflitto tra potere centrale e comunità locali, si è spostato nella tensione tra sovranità statali e nuovo ordine mondiale, all'interno di un'ideologia sempre più totalizzante, in cui l'architettura non ha più alcuna capacità di intervento, trasformazione e infine responsabilità.
Al tempo della tesi avevo molte ingenue certezze, costruite sulla fiducia nell'uomo, nella ragione, nel progresso, nell'alleanza antropica, oggi quelle certezze hanno lasciato il posto a molti dubbi. E nello struggente binomio permanenza/fugacità che attraversa l'architettura, e l'esistenza umana, ravviso l'inevitabile prezzo da pagare per aver cancellato dalla nostra vita la prospettiva dell'eternità, mentre l'antico tema della ricerca della felicità, a cui l'architettura partecipa, resta ancora aperto.