TEMI
E RICERCHE DEL DOTTORATO IN ARCHITETTURA – TEORIE E PROGETTO 1986-2017
MARTINA
FIORENTINI
INTRODUZIONE
La
storia dell’architettura non è solo la storia del rapporto tra individuo
abitazione ed ambiente ma è anche la storia di come il progettista, elemento di
congiunzione e di soluzione dei problemi complessi, da sempre presenti nella
storia, o contingenti alle diverse fasi ed ai diversi contesti, abbia potuto
progressivamente avvantaggiarsi di supporti tecnologici migliorati, consentendo
la gestione di un numero via via crescente di variabili, in un tempo sempre più
ridotto, e con un grado di accuratezza e previsione/anticipazione delle
dinamiche da generare via via crescente. Tuttavia, l’aumentato potere di
controllo è stato affiancato da istanze più complesse manifestate dalla società,
legate all’evolversi della struttura economica, tecnologica, culturale della
società stessa.
Le
sfide di oggi sono caratterizzate da un grado di difficoltà elevato, nuovo e
differente dal passato, e sono legate al rischio che, globalmente, l’incidenza
dell’attività antropica provochi la definitiva rottura dell’equilibrio con la
natura che ci circonda.
Il
progettista, figura centrale nella costruzione di modelli futuri per la
società, alla luce del ruolo nella formazione delle dinamiche dei processi
sociali e produttivi, allarga il campo di azione e comprende la necessità di
integrare la propria conoscenza attingendo ad altre discipline: si fa strada
l’abbandono della iperspecializzazione a beneficio della interdisciplinarietà.
Al
centro del nuovo modo di fare architettura si pone un progettista multidisciplinare
guidato dal tema dell’ecologia, non più come scelta libera, libero arbitrio
della volontà del prevalere di una determinata forma estetica in favore di
un’altra, ma come necessità, come istanza che la società pone e che individua
quale unico fattore di necessaria correzione per scongiurare i rischi innescati
dalla attuale rotta di collisione, affidando ancora una volta all’architettura
il compito di individuare soluzioni che tengano insieme diversi elementi.
Diventa
pertanto di fondamentale attualità definire e costruire o riqualificare lo
spazio dentro crismi ecologici; sviluppare un ciclo naturale di continua
evoluzione adattiva del progetto, una “cellula metabolica” integrata e
collaborante, costituita dagli abitanti che, partendo dal senso di appartenenza
dato dal legame con il territorio, forniscano un punto di vista costruttivo e
collaborativo, basato sulla condivisione di valori all’interno di uno spazio
che torna ad essere dimensione emotiva di cooperazione e tutela dell’io e della
comunità.
Per
consentire il dispiegarsi di una materia che torna sempre a confrontarsi con il
reale nella sua immediata e netta verifica delle intenzioni progettuali, si
indaga l’apporto del BIM quale strumento ottimale allo stato dell’arte per il
controllo tecnico-prestazionale degli interventi di riqualificazione o nuova
progettazione, che consenta di verificare a priori i tratti essenziali della
capacità di funzionare degli intenti secondo i requisiti di qualità attesi.
Beneficiaria
ultima non è solo la progettazione di un edificio o di uno spazio ma la società
che, muovendo dalla riscoperta di valori desueti ed accantonati incentrati su
prossimità e valore d’uso, chiede all’architettura di individuare soluzioni
immediate, consistenti e cariche di valore emotivo.
USO
RIUSO ABUSO. CASI DI DISOBBEDIENZA ESTETICA. Ecologia del progetto e libertà
DANIELA
MAURIZI
L’elaborato
analizza il modo in cui il concetto di cultura ecologica ha influenzato
direttamente o indirettamente le scelte architettoniche e progettuali. Parola
chiave è “valore d’uso” individuato come la variabile in grado di conferire
valore aggiunto all’esigenza dell’abitare in un’ottica sostenibile.
Valore
d’uso a sua volta da analizzare nell’ambito dei termini uso (come utilizzo “giusto”
in quanto ritenuto in linea con le intenzioni combinate del progettista e
dell’utente), riuso (nel termine ecologico di valorizzazione del riutilizzo),
abuso (inteso come il superamento dal basso dell’imposizione di un ordine
formale, vincolante ed esterno attraverso la riappropriazione di uno spazio
esistenziale di minor impatto ambientale).
L’elaborato
mette in luce le criticità riscontrabili nella ricerca di una corretta
integrazione tra progetto e vita quotidiana che sappia tenere al centro le esigenze
dell’utente coniugandole sia con il rispetto di adeguate variabili di carattere
etico, estetico ed ecologico, sia con i limiti imposti dalle “orme” (intese
dall’autrice come retroterra storico) e dallo stato della evoluzione
tecnologica.
L’affermarsi
del paradigma ecologico, viene visto dall’autrice all’interno di un più ampio movimento
di cambiamento dato da un nuovo vitalismo che attraversa ogni attività
progettante, spingendo l’architettura ad uscire dall’astrattezza razionale, per
tornare ad una concretezza funzionale e propedeutica alla realizzazione
dell’individuo all’interno dello spazio.
Il
nuovo funzionalismo trova la sua ragion d’essere nella ricerca della miglior
sintesi tra uomo, ambiente e società tesi solidalmente ad un nuovo modo di vivere
la sfida adattiva all’ambiente in una prospettiva co-evolutiva.
Il
progettista pertanto non impone una visione personale ma assorbe l’espressione
creativa e culturale della collettività, riportando il valore d’uso al centro
della relazione tra uomo, habitat e ambiente costruendo un legame che sappia
tener conto della spinta ecologista derivante dalle sfide associate al sempre
maggior impatto antropico sulla realtà.
Diventa
allora fondamentale volgere lo sguardo alle nuove tecnologie, non solo in senso
materico (materiali costruttivi all’avanguardia in grado di minimizzare
l’impatto ambientale), ma anche in senso organizzativo (tecnologie informatiche
a maggior potenza di calcolo come collettori di informazione in grado di
massimizzare l’efficienza delle modalità d’uso dello spazio), direzione già
assunta da sporadiche realtà marginali auto-organizzate, che tornano al modello
della comunità supportate da nuove piattaforme tecnologiche.
Creatività
ecologica eticamente ed esteticamente funzionale alla migliore integrazione tra
necessità ed inventiva che sappia giovarsi della dimensione relazionale,
comunitaria, evolutiva, della funzione d’uso, senza mai tralasciare il concetto
di provvisorietà proprio della temporalità della natura umana e della continua
rimodulazione fondata sull’evolvere delle coscienze e quindi delle esigenze.
Solo
con un ascolto “attivo”, con la contestualizzazione delle conoscenze, delle
idee e delle interpretazioni il progetto architettonico diventa terreno di
composizione e superamento del conflitto tra ordine e disordine, libertà e
necessità, obbedienza e disobbedienza, riportando l’architettura alla
condizione di realtà che le è propria in quanto scienza del reale in grado di
diventare “reale ecologica”.
Ecco
che l’ampiezza strategica di assorbimento degli stimoli esterni deve
responsabilmente, criticamente/autocriticamente, creativamente valorizzare la
dialettica che viene a generarsi e che porta a più sintesi nel solco dei
concetti di mutamento/flessibilità, permanenza/continuità, nel rispetto dei tre
elementi chiave che in apertura sono individuati come sottendenti il concetto
di valore d’uso: uso, riuso ed abuso in prospettiva ecologica.
LA
NECESSITA’ DI UN APPROCCIO SISTEMICO PER IL PROGETTO URBANO E DI ARCHITETTURA.
Contesto teorico, esempi virtuosi e strumenti cognitivi
ROSETTA
ANGELINI
Le
scoperte che dagli anni ’20 hanno investito i vari ambiti del sapere
scientifico e filosofico hanno obbligato gli studiosi ad abbandonare una
visione settoriale a favore di un’analisi globale dei processi tra le parti e
delle micro e macro relazioni che regolano l’universo, attraverso valutazioni
etiche che trovano fondamento nell’ecologia.
L’approccio
architettonico che ne scaturisce origina il progetto urbano come riproduzione
dei fenomeni regolatori grazie a criteri multidisciplinari di cui l’ecologia è
il fulcro: la visione contemporanea di più discipline garantisce la continuità
delle relazioni tra gli elementi urbani, che collaborano alla formazione di un
unico ciclo, equiparabile a quello naturale.
La
struttura urbana può essere letta come una “cellula metabolica” integrata e
collaborante al raggiungimento di un equilibrio globale.
Ne
scaturisce una società sostenibile alla base della quale la condivisione di
valori porta lo spazio ad una dimensione emotiva, di cooperazione, di
conoscenze condivise e tutela di risorse e servizi. Le relazioni sociali sono
promosse dalla creazione di soluzioni ambientali catalizzatrici, il progetto di
corti e coperture degli edifici, giardini e percorsi pedonali si intreccia con
quello dei parchi, delle infrastrutture per creare a scale diverse spazi di
aggregazione e mediazione: gli edifici non sono separati dall’esterno, ma
dialogano con l’ambiente attraverso filtri penetrabili ed osmotici, creando una
rete di interconnesioni in cui ogni elemento dipende e discende dalla proprietà
dell’altro, secondo una visione sistemica.
L’autrice
analizza due casi studio dell’approccio sistemico al progetto, il quartiere di
Hammarby Jöstad e il lavoro di Friedensreich Hundertwasser, per sottolineare che
il processo, basandosi sui cicli naturali, debba valutare le continue
interazioni e i cambiamenti insiti in un equilibrio dinamico.
La
rigenerazione di aree dismesse in tessuti consolidati rappresenta l’opportunità
di operare secondo tale visione, anche grazie al coinvolgimento degli abitanti
che si estrinseca nella personalizzazione degli spazi condivisi al fine di
creare sia una relazione con l’esterno che il senso di appartenenza garantito
dal riconoscimento di sé nello spazio in cui si è operato.
Diventa
fondamentale per un progetto sistemico la determinazione di uno strumento
conoscitivo e multidisciplinare, individuato dall’autrice nel modello
dinamico-ciclico, in grado di coordinarsi autonomamente in base alle infinite
variabili ambientali e parametriche del progetto: la materia architettonica,
infatti, si pone in continua relazione e cooperazione con altri ambiti
disciplinari col fine di una pianificazione ecologica. La complessità delle
interdipendenze dei processi, dalla scala globale a quella locale, può essere
organizzata attraverso il BIM, strumento in grado di simulare in tempo reale e
di esaminare le conseguenze delle modifiche progettuali. La combinazione
sostenibile ottimale può essere ottenuta grazie a prefigurazioni elettroniche
che simulano digitalmente il sistema fluido e ciclico delle variabili
progettuali e riescono a trovare la condizione ottimale per cui, alla minore
quantità di materiale, corrisponde la massima efficienza ambientale,
strutturale, spaziale e organizzativa. Gli edifici che vanno a costituirsi si
configurano come organismi energicamente autonomi ed inseriti all’interno di
una strategia ambientale.
COMMENTO
DELL’AUTRICE DANIELA MAURIZI
Colgo
con grande piacere questa occasione di revisione critica della mia ricerca a
distanza di più di dieci anni, sotto la spinta di nuove istanze, che poi forse
tanto nuove non sono.
Dunque,
il commento di Martina riassume bene il focus della mia tesi, ma forse,
coerentemente al suo specifico campo d'interesse, pone un po' troppo l'accento
sulle opportunità offerte dalla tecnologia. La strategia progettuale che a quel
tempo tentavo di definire, era fondata soprattutto sulla risorsa uomo e sulla
sua capacità di risolvere creativamente i problemi anche, e soprattutto, in
assenza di mezzi e supporti tecnologici.
Ma
affinché l'uomo - in alternativa al sistema - possa recuperare tale potere di
pianificazione e azione, è necessario (e oggi lo affermo con più convinzione di
ieri) un cambiamento dell'organizzazione territoriale e politica in direzione
di un maggiore decentramento, atto a favorire forme di progettazione più
cooperative e controllabili dal basso, nonché di produzione e organizzazione
locale di beni, servizi, e competenze. In tale prospettiva, s'innesta anche
l'attuale crisi del progetto a grande scala.
Questa
visione cala il progetto architettonico in un contesto di sobrietà, fattibilità
e realismo, dove il troppo sottovalutato “buon senso”, che qui si intreccia
all'idea di bene comune, illumina la strada da seguire. Questo credo, sia
l'approccio ecologico più autentico.
Ma
oggi, quali abitanti di una realtà complessa e conflittuale, supportata da
tecnologie avanzate, abbiamo perso l'autonomia produttiva, insieme all'antica
arte del buon vivere e del buon costruire, e abbiamo bisogno di paradigmi
precisi in cui inquadrare non solo il progetto architettonico, ma l'intera
esistenza, con le sue problematiche e strategie. Tali modelli di riferimento si
traducono in tessuti normativi incentrati sulla sostenibilità ambientale del
progetto, considerata quasi come obiettivo primario anziché principio guida.
Troppo
spesso infatti, l'assunzione di paradigmi che diventano miti, come quello
ecologico, tende a confondere le cause con gli effetti, le motivazioni e i
principi con gli obiettivi, aprendo il varco a derive riduzioniste e facili
strumentalizzazioni politiche o di mercato.
Se
invece si riparte dal presupposto che ad essere ecologica è la vita stessa,
nella sua rete di infinite connessioni creative, il progettare, in quanto atto
creativo, diventa di per sé un atto ecologico e responsabile, almeno
potenzialmente.
La
differenza, a mio avviso, è nella scala d'intervento, laddove un progetto alla
piccola scala tende ad essere più ecologico e meno impattante del mega
progetto, nel quale le stesse tecnologie di compensazione e mitigazione
ambientale hanno un costo ecologico inevitabile.
Nel
corso degli anni mi sono ricreduta su diverse questioni, a partire dal
“vocabolario” ecologico. Un esempio ne è la definizione di “impatto antropico”,
che a mio avviso sposta il problema, spingendo le soluzioni verso sinistre
derive complottiste e baratri esistenziali.
Il
problema infatti non è l'impatto antropico - l'uomo è nato per impattare
positivamente il suo ambiente e governarlo - ma l'impatto di una tecnologia a
servizio degli interessi del mercato. Ho accennato a sinistre derive, in
riferimento al pensiero sotterraneo che attraversa i programmi ufficiali a
favore dell'ambiente, a partire dall'Agenda 2000, che dietro ai principi
emergenziali della scarsità di risorse e della sovrappopolazione nascondono e
preparano, a mio avviso, un piano di controllo sociale, politico, economico in
scala mondiale (punta dell'iceberg della concentrazione/centralizzazione del
potere). E in questa stessa chiave di lettura, nel motto dello UNFCCC “cancella
la tua impronta ecologica”, si potrebbe ravvisare l'eco di un piano ben più
inquietante, volto a cancellare la presenza stessa dell'uomo sulla terra. Ma
questa è un'altra storia...
Oggi,
l'antico conflitto tra potere centrale e comunità locali, si è spostato nella
tensione tra sovranità statali e nuovo ordine mondiale, all'interno di
un'ideologia sempre più totalizzante, in cui l'architettura non ha più alcuna
capacità di intervento, trasformazione e infine responsabilità.
Al
tempo della tesi avevo molte ingenue certezze, costruite sulla fiducia
nell'uomo, nella ragione, nel progresso, nell'alleanza antropica, oggi quelle
certezze hanno lasciato il posto a molti dubbi. E nello struggente binomio
permanenza/fugacità che attraversa l'architettura, e l'esistenza umana, ravviso
l'inevitabile prezzo da pagare per aver cancellato dalla nostra vita la
prospettiva dell'eternità, mentre l'antico tema della ricerca della felicità, a
cui l'architettura partecipa, resta ancora aperto.